Volumi
GRAMSCI LE CULTURE E IL MONDO

a cura di Giancarlo Schirru
Roma, Viella 2009
pp. 278, € 29,00 | 9788883344190

 
Atti del convegno promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con la International Gramsci Society-Italia, Roma 27-28 aprile 2007
 
La diffusione degli scritti e del pensiero di Antonio Gramsci ha raggiunto, negli ultimi tre decenni, una vasta dimensione internazionale. La sua figura rappresenta un caposaldo della cultura italiana che attira l’attenzione nel mondo moderno.
Il pensiero di Gramsci circola ampiamente in Europa, nelle Americhe, nel mondo islamico, in India e in Estremo Oriente: per celebrare i settant’anni della sua morte si sono riuniti alcuni degli studiosi stranieri che più hanno contribuito allo sviluppo recente delle ricerche gramsciane, confrontandosi con alcuni specialisti italiani.
In questo volume sono presentati i risultati di quell’incontro, in cui tra l’altro è ricostruita in modo serrato la parabola della rivoluzione neoconservatrice, iniziata negli Stati Uniti e viene tracciato un bilancio di alcuni recenti indirizzi di ricerca che, fin dalla loro fondazione, si sono richiamati all’eredità gramsciana: gli studi culturali britannnici, gli studi post-coloniali statunitensi e i Subaltern Studies indiani.

Indice

Prefazione di Giuseppe Vacca
Prefazione di Giorgio Baratta
Stuart Hall in dialogo con Giorgio Baratta e Derek Boothman
Dal nazionale all’inter-nazionale-popolare. L’uso di Gramsci nei Subaltern Studies indiani
Ranajit Guha,  Omaggio a un maestro
Paolo Capuzzo,  I subalterni da Gramsci a Guha
Marcus E. Green, Subalternità, questione meridionale e funzione degli intellettuali
Gramsci negli studi culturali britannici
Anne Showstack Sassoon, Raymond Williams, Stuart Hall, Gramsci e noi
Ursula Apitzsch, Antonio Gramsci e i problemi del multiculturalismo
Elisabetta Gallo, Antonio Gramsci, Stuart Hall e Raymond Williams. Un contributo alla discussione
La presenza di Gramsci negli studi culturali e postcoloniali americani
Joseph A. Buttigieg, Leggere Gramsci dopo Edward W. Said
Renate Holub, Dagli studi culturali allo studio delle culture americane: 1977-2007
Ronald A.T. Judy, Gramsci e il «concio» della società civile globale
Benedetto Fontana, Egemonia e pluralismo. Usi e abusi di gramsci negli Stati Uniti
Giancarlo Schirru, La diffusione del pensiero gramsciano nella linguistica americana
Gramsci e Said nel mondo islamico e mediterraneo
Abdesselam Cheddadi, Traduzione e cultura nel mondo arabo: Una prospettiva storica
Peter Mayo, Gramsci, la «quistione meridionale» e il Mediterraneneo
Derek Boothman, Islam e mondializzazione nei Quaderni del carcere
Iain Chambers, La sfida postcoloniale
Michele Brondino, «La quistione del linguaggio e delle lingue»: una chiave di lettura per il Mediterraneo
Massimo Campanini, Gramsci e la crisi degli intellettuali arabi: verso un nuovo concetto di politico nell’Islam?

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Prefazione

di Giuseppe Vacca
Nell’ottobre del 1989 la Fondazione Istituto Gramsci organizzò a Formia un convegno internazionale intitolato Gramsci nel mondo. Al convegno presero parte 26 studiosi europei, americani, asiatici e africani, e il direttore editoriale della Columbia University Press. La maggior parte dei partecipanti era costituita da traduttori e editori degli scritti di Gramsci nelle principali lingue del mondo: l’inglese, lo spagnolo, il portoghese, il francese, il tedesco, il cinese, il giapponese, l’arabo e altre ancora, come il coreano, il danese e il greco moderno. La scelta di riunire i principali traduttori ed editori di Gramsci aveva innanzitutto lo scopo di segnalare alla cultura italiana un fatto sostanzialmente ignorato; vale a dire che, mentre in Italia, nel decennio precedente, Gramsci era stato emarginato, negli stessi anni era divenuto un protagonista della cultura mondiale. La fortuna del suo pensiero era in crescita e cominciava la traduzione dell’edizione critica dei Quaderni negli Stati Uniti, in Germania e in Giappone. La scelta di invitare prevalentemente studiosi impegnati nella traduzione e nella pubblicazione degli scritti gramsciani aveva quindi anche l’obiettivo di rispondere ai frettolosi «liquidatori» italiani, documentando nei fatti la vitalità del pensiero di Gramsci, anziché rivendicarla con scelte interpretative necessariamente parziali e opinabili. D’altro canto, non era nelle corde della tradizione del «Gramsci» proporre una interpretazione del suo pensiero e anche nei convegni precedenti la Fondazione aveva sempre cercato di offrire, piuttosto, una sede di confronto e di dibattito a interpreti italiani e stranieri delle più diverse ispirazioni culturali. In fine, il convegno di Formia si proponeva di favorire il contatto e lo sviluppo di scambi più frequenti fra i partecipanti, considerandolo un impegno doveroso sia perché la diffusione del pensiero di Gramsci è parte essenziale della ragion d’essere della Fondazione che  ne porta il nome, sia perché già allora, nelle principali aree linguistiche del mondo gli studi gramsciani avevano raggiunto un livello così elevato da non poter essere ignorati o negletti dagli studiosi italiani.
Quel convegno originò due eventi che ci conducono direttamente a parlare del convegno Gramsci, le culture e il mondo. Il primo è la nascita della bibliografia gramsciana internazionale. Com’è noto, essa si deve alla passione e alla dedizione di John Cammett, e non credo sia fuor di luogo dedicarvi qualche cenno in questa sede sia per ricordare lo studioso, il combattente e l’amico per il quale il convegno di cui presentiamo gli atti fu forse l’ultimo incontro gramsciano di rilievo al quale ebbe modo di partecipare in Italia, sia perché l’allestimento e la pubblicazione della bibliografia gramsciana, che cominciò con il Convegno di Formia, ha segnato l’inizio di una relazione sempre più sistematica della Fondazione Istituto Gramsci con gli studiosi di tutto il mondo. Come ricordò nella sua comunicazione, Cammett aveva avviato quel lavoro pochi anni prima, in maniera pionieristica e solitaria. Ce ne presentò i primi risultati durante la preparazione del Convegno e, con uno sforzo straordinario non solo di John, ma anche di una équipe di giovani ricercatori messigli a disposizione dal «Gramsci», fu possibile presentare a Formia la brochure della prima edizione a stampa della bibliografia. Da allora l’impegno di alimentarla, continuando a giovarsi della direzione di Cammett, venne assunto dalla Fondazione che ha così concorso a renderla sempre più puntuale, aggiornata e fruibile dalla comunità scientifica internazionale. Dal 2005 la bibliografia è disponibile on line, per il «Gramsci» ne sono responsabili Francesco Giasi e Luisa Righi, che aveva cominciato ad affiancare Cammett già nell’estate dell’89, e fino alla sua morte John aveva continuato a seguirla assiduamente. Credo di poter dire che la bibliografia costituisca uno strumento filologico fondamentale per l’internazionalizzazione degli studi gramsciani e sicuramente lo strumento principale della proiezione internazionale degli studi promossi dalla Fondazione. È dunque il veicolo sensibile d’un percorso che ci ha portato anche a concepire e realizzare il convegno Gramsci, le culture e il modo che, negli studi gramsciani promossi dalla Fondazione, costituisce forse il sondaggio più impegnativo realizzato finora sui temi principali della fortuna internazionale del pensatore sardo. Ma c’è pure un’altra ragione per cui, per raccontare la genesi di questo convegno, abbiamo preso le mosse da quello di Formia: a Formia fu gettato anche il seme della International Gramsci Society. Non tocca a me parlarne, ma lo ricordo per esprimere pubblicamente la soddisfazione d’aver ideato questo convegno insieme alla sua sezione italiana, presieduta infaticabilmente da Giorgio Baratta, realizzando così l’evento finora più significativo della nostra collaborazione. Il titolo segnala, come sempre, un’idea e una scelta: fra i percorsi internazionali del pensiero gramsciano nel mondo abbiamo ritenuto opportuno privilegiare quello tracciato dai Cultural Studies, di cui i Subaltern e i Post Colonial Studies si possono considerare due diramazioni. Essi dimostrano che la crescente diffusione internazionale degli studi gramsciani ha avuto impulso principalmente dal suo concetto di egemonia e dalla sua teoria della cultura, che già avevano contraddistinto la sua «scoperta» e lo straordinario impatto del suo pensiero sulla cultura italiana nel ventennio successivo alla prima edizione delle Lettere e dei Quaderni. Ma, con il progredire della fortuna internazionale del pensiero di Gramsci, anche nel nostro paese gli studi gramsciani sono sempre più influenzati da quelli che si sviluppano in altre realtà. Quindi anche questo era un buon motivo per organizzare il nostro Convegno, e su questo tema vorrei aggiungere qualche considerazione.
Com’è noto, la missione fondamentale del «Gramsci» è quella di promuovere la pubblicazione degli scritti e lo studio del pensiero dell’intellettuale e del politico di Ales. Da circa un decennio il nostro impegno principale è quello di pubblicare una nuova edizione critica integrale dei suo scritti: l’Edizione nazionale delle opere di Antonio Gramsci. La disponibilità di nuove fonti documentali, creatasi dopo il 1989, ne ha reso possibile il progetto e la lenta e difficile gestazione, condizionata soprattutto dalle caratteristiche degli scritti di Gramsci. L’impresa ha favorito anche la rinascita degli studi gramsciani in Italia, di cui riteniamo d’aver contribuito a documentare l’ampiezza e la qualità con il convegno Gramsci nel suo tempo, tenutosi a Bari e a Turi dal 13 al 15 dicembre 20071. Ma anche questo lavoro e quelli che a buon diritto si possono considerare i nuovi studi gramsciani in Italia, sono parte integrante degli studi gramsciani internazionali e procedono da un confronto necessario e sempre più accurato con essi. Di questo testimonia in particolare l’ultima iniziativa editoriale promossa dalla Fondazione nel 2007: la pubblicazione d’una serie aperta di volumi con cadenza annuale, dedicati agli Studi gramsciani nel mondo, editi dal Mulino. Cominciammo con una scelta dei contributi più significativi pubblicati nelle principali aree linguistiche e culturali fra il 2000 e il 2005.2 Abbiamo proseguito nel 2008 con un volume monografico curato da Paolo Capuzzo – che aveva avuto un ruolo importante nel progetto di questo Convegno – dedicato, appunto, agli studi culturali.3 Il volume del 2009, di imminente pubblicazione, è stato curato da Mario Del Pero ed Eugenia Baroncelli, ed è dedicato all’influenza del concetto gramsciano di egemonia nel dibattito e negli sviluppi della teoria delle relazioni internazionali. Quello del 2010 sarà invece dedicato alla fortuna di Gramsci in America Latina e curato da Dora Kanoussi. Tutto questo lavoro, a cui si dedica con impegno Giancarlo Schirru che, oltre ad aver seguito la realizzazione del convegno Gramsci le culture e il modo, ne ha curato impeccabilmente il volume degli atti, mi pare confermi la validità dell’impostazione del Convegno e alcune costanti degli studi gramsciani che si riverberano anche in esso.
La prima è che, come ho già detto, i Cultural Studies, intesi nel senso più ampio, sono stati e sono il veicolo principale della fortuna internazionale di Gramsci. La seconda è che il suo nucleo dinamico – anche questo l’ho già osservato – è costituito dal concetto di egemonia e dalla teoria della cultura. Vorrei soffermarmi brevemente sul significato di questi due fatti, limitandomi a considerare alcuni aspetti salienti di questo convegno.
Il primo riguarda la figura di Ranajt Guha e le caratteristiche dei Subaltern Studies in India, di cui è stato iniziatore. Fra i diversi aspetti di questa esperienza vorrei segnalarne due: il primo è che non si è trattato solo dell’inaugurazione, o se si vuole della «invenzione», d’una nuova corrente di studi, ma di una esperienza politica e intellettuale che ha cambiato radicalmente le relazioni fra intellettuali e popolo, e quindi la storia nazionale del Bengala, uno Stato popoloso quasi quanto l’Italia. Il secondo è che, in questa esperienza, l’elaborazione d’una nuova egemonia ha saputo mettere a frutto la cultura delle classi subalterne. È un’esperienza che ricorda la battaglia di Ernesto De Martino nell’Italia del dopoguerra, respinta dalle élites intellettuali e politiche predominanti nella sinistra principalmente a causa dell’impianto «illuministico» della loro cultura.4 Ultimo ma non meno importante, il superamento della visione «occidentalistica» delle rivolte contadine, la cui interpretazione forse più prestigiosa, negli anni d’incubazione dei Subaltern Studies indiani, era quella di Eric Hobsbawm, che ne contestava il valore politico.5 Questa esperienza rivela una caratteristica generale dell’incontro di determinate culture nazionali con il pensiero di Gramsci: l’incontro è più fecondo quando concorre a originare nuovi progetti politici e una nuova idea della politica. Fu così nell’Italia del dopoguerra, così è stato non solo in India, ma, sia prima sia dopo la nascita dei Subaltern Studies, anche in America Latina, dove in alcuni paesi, come l’Argentina e il Brasile, l’influenza di Gramsci ha avuto un ruolo fondamentale nel rinnovare la storia politica dei gruppi intellettuali, favorendo il processo delle «rivoluzioni democratiche» in corso da più di un decennio.6
Non meno rilevante è stato l’incontro con Gramsci di quei gruppi intellettuali che, attraverso le sue categorie, hanno promosso una reinterpretazione storica delle rispettive culture nazionali e un ripensamento della propria tradizione. Questo fenomeno è ancor più generale del primo e riguarda l’intero spettro della internazionalizzazione del pensiero gramsciano. Nel convegno abbiamo voluto richiamare l’attenzione su alcuni filoni fondamentali, primo fra tutti la cosiddetta «scuola di Birmingham» e le sue figure principali: Raymond Williams e Stuart Hall. Dopo l’Italia, l’Inghilterra è stato il primo paese europeo in cui, già cinquant’anni orsono, il contatto col pensiero di Gramsci generò un ripensamento dei caratteri originari della storia nazionale.7 Ma, nella prospettiva del nostro convegno, l’aspetto ancora più interessante era costituito dall’influenza che i Cultural Studies britannici hanno avuto nella diffusione mondiale degli studi culturali, veicolando una interpretazione di Gramsci ricca e raffinata. La stessa figura di Edward Said e l’impronta gramsciana dei Post Colonial Studies, che si deve principalmente a lui, non sono pensabili senza il «precedente» inglese. La fine degli imperi coloniali è stata forse l’evento più rilevante del Novecento e ne ha segnato tutta la storia. Se non altro per questo, non si sottolineerà mai abbastanza l’innovazione che Said ha promosso nello studio del colonialismo e il ruolo che l’incontro con Gramsci ha avuto nella sua impostazione. Ma Said è stato anche un intellettuale influente nella cultura statunitense dell’ultima parte del secolo scorso ed è opportuno ricordarlo in questa sede perché fu Said a suggerire alla Columbia University Press, di cui era autorevole consigliere, di tradurre l’edizione critica dei Quaderni affidando a Joe Buttigieg anche l’immane fatica di elaborare un apparato critico apposito. Nel quadro dei Post Colonial Studies particolare rilevanza ha avuto poi l’incontro con Gramsci di alcune élites intellettuali arabe e islamiche, che raggiunse la più ampia estensione nei primi tempi degli Stati post-coloniali ed ebbe anche un significativo impatto politico.8 Nell’impianto del convegno gli abbiamo quindi dato una rimarchevole evidenza anche per la rilevanza politica attuale del tema nei rapporti di noi europei con il mondo arabo-islamico.
Il Convegno ci ha consentito anche di verificare come l’interpretazione del pensiero di Gramsci progredisca di pari passo con l’approfondimento della conoscenza della cultura e della storia nazionale che ne sono state la culla. Sotto questo profilo, mi sento in obbligo di segnalare almeno il contributo di Joe Buttigieg, che offre una giustificazione convincente delle ragioni per cui Gramsci è assurto al rango di «classico» del pensiero del Novecento.
In fine vorrei richiamare l’attenzione su alcuni contributi che, maneggiando sapientemente le categorie gramsciane, offrono una ricostruzione illuminante della politica culturale della destra americana e di alcune ragioni dell’egemonia esercitata dalla «rivoluzione neoconservatrice» a scala mondiale per oltre un trentennio. A questo riguardo vorrei esprimere un sentito ringraziamento a Benny Fontana e Renate Holub per le loro comunicazioni. In particolare la comunicazione di Renate, calata nella situazione italiana, fornisce un valido termine di paragone per affrontare alcuni temi di cruciale importanza. Il fuoco dell’offensiva culturale che negli ultimi trent’anni ha tramortito la sinistra italiana fu concentrato inizialmente su Gramsci. A questo proposito mi pare che vi siano tre questioni da approfondire: come fu concepita quella scelta, perché l’iniziativa fu assunta dalla cultura liberal socialista,9 perché l’operazione di sfondamento ha avuto uno straordinario successo.10 Non meno importante è un altro aspetto della vicenda americana, illuminato dalla Holub: la povertà culturale della egemonia della destra, forse inabissata dalla presidenza di G. W. Bush e dall’implosione della globalizzazione asimmetrica. Questo carattere della «rivoluzione neoconservatrice» mi pare risalti ancor più nella vicenda italiana, in cui l’egemonia «liberale» riflessa dell’ultimo trentennio si è rivelata, molto più che altrove, capace di «distruggere», ma non di «ricostruire », e ha operato resuscitando «materiali» del tutto anacronistici.11
Ad ogni modo, la suggestione che credo andrebbe colta dai contributi di Fontana e della Holub è che anche in Italia è tempo, ormai, di ricostruire storicamente le ragioni e i caratteri dell’egemonia culturale della destra e non si vede a quali lezioni ci si potrebbe rifare se non, in primo luogo, alla lezione di Gramsci.