Volumi
DIARIO 1946-1952

Emilio Sereni
Introduzione di Giorgio Vecchio
Carocci, Roma 2015
pp. 207, € 22,00 | 9788843077977
PUBBLICAZIONE REALIZZATA CON IL CONTRIBUTO DELLA FONDAZIONE

Emilio Sereni (1907-1977) è stato forse l’ultimo intellettuale enciclopedico del Novecento italiano, autore della fortunata Storia del paesaggio agrario italiano. Fu militante antifascista, carcerato politico, resistente, ministro, senatore e deputato, dirigente del Pci negli anni della Resistenza e della Guerra fredda e personalità conosciuta nel movimento comunista internazionale. Queste pagine di diario sono del tutto originali nella pur ricca memorialistica del Novecento. Sereni racconta alcune delle vicende politiche di cui è protagonista, ma soprattutto riflette su se stesso. Attraverso uno sforzo continuo di introspezione – con toni spesso ironici – egli indaga la propria personalità, il proprio rapporto con il partito e con i suoi leader (a cominciare da Togliatti), il proprio modo di lavorare, ma anche le sue complesse relazioni con le donne, in una sorta di esaltazione dell’«eterno femminino» di goethiana memoria.

Indice

Introduzione di Giorgio Vecchio

1946, 19 / 1947, 43 / 1948, 71 / 1949, 134 / 1950,159 / 1951, 168 / 1952, 173

Appendice 1959, 189

Postfazione di Tullio Sapelli, 195

Riferimenti bibliografici, 205

·····························································
Introduzione
di Giorgio Vecchio

Nel febbraio 1951, poco tempo dopo la morte dell’amatissima moglie Xenia (“Marina” nella lotta clandestina e “Loletta” nell’intimità familiare), avvenuta il 27 gennaio, Emilio Sereni vergò poche righe per consegnare a una fidata amica il diario scritto negli anni precedenti:

Cara Vanna’,

ti affido queste mie note. Lea non è qui, e non vedo a ehi potrei lasciarne la cura, fuor­ché a te. Non che mi manchi la grande famiglia del partito e di tutti i compagni. Ma da che Xenia mi ha lasciato, son solo, per quel che riguarda queste cure minori. E so che a te posso rivolgermi in personale amicizia, con la preghiera di conservare queste mie note per le figlie.

Qualche anno dopo la mia morte, sarà loro caro ed utile, forse, conoscere ancora un poco il loro papà, e forse proprio tu potrai aiutarle a capire. Potrai consultarti con Donini sul tempo più opportuno per questa comunicazione postuma.

Grazie. E a te auguri di ogni bene

Sereni.

Questa decisione era determinata, con ogni probabilità, anche dal fatto che Sereni non riteneva di poter vivere ancora a lungo, visto che la sua stessa salute stava subendo da qualche tempo brutti colpi.

Quel diario, di ratto, copriva soltanto gli anni dal 1946 al 1949, e possedeva caratteristiche molto singolari. In quel 1952, tuttavia, ricoverato nella casa di cura sovietica di Barvikha, Sereni riprese la penna e scrisse altre pagine, giusti­ficando il lungo silenzio del biennio precedente con un diretto riferimento alla lunga e dolorosa malattia della moglie:

Da più di due anni, credo, non avevo potuto più scrivere una riga in questi fogli: da quando avevo saputo dai medici della minaccia mortale che pesava su Loletta. Come avrei potuto, in queste note, non parlare di questa mia angoscia?

In realtà, anche dopo quel soggiorno di cura Sereni lasciò da parte i suoi fogli, così che bisogna arrivare al 1959 per trovare qualche altra sua nota personale. Nel mezzo il resoconto cronachistico di talune sue esperienze, così come una riflessione più intima, rimase affidata alle lettere scritte ai più stretti familiari e ai suoi “taccuini”, come egli chiamava talvolta le sue agendine tascabili (che coprono l’intero periodo 1946-77, anno della sua morte).

Le pagine di diario giunte fino a noi risultano dunque molto frammenta­te quanto al tempo della stesura. Lettori e lettrici potranno subito constatare che in alcuni periodi Sereni scrisse molte pagine per più giorni vicini, salvo poi tacere per settimane e mesi successivi. Almeno due sono le spiegazioni di questa incostanza. La prima discende direttamente dall’intensissimo ritmo di lavoro del politico comunista, tanto sul piano politico e parlamentare quanto su quello della ricerca scientifica e intellettuale. Ovvio che rimanessero poco tempo e scarse energie per redigere regolarmente anche un diario. La seconda ragione sta appunto nel fatto che annotava i suoi impegni politici quotidiani nelle agendine.

Insomma, Sereni non aveva «nessuna intenzione di far di queste mie note un diario politico. Questo, se mai, lo ritrovo nella mia agenda» – annotava il 4 giugno 1947 –, bensì di « notare altre cose, altre riflessioni, più veramente inter­ne». In realtà questa distinzione – ammesso che fosse possibile – non fu seguita sempre. E per questo motivo che le pagine che qui pubblichiamo contengono sia annotazioni intime sul rapporto dell’autore con se stesso, con la moglie, la famiglia e le amiche, sia valutazioni propriamente politiche. Di queste, semmai,

si può segnalare che in prevalenza partono dal mero fatto di cronaca per coglie­re le reazioni personali, le soddisfazioni ricevute (specie da parte di Togliatti), le nuove amicizie avviate, il rapporto con i compagni incontrati nei giri in tutta Italia e all’estero.

In questa prospettiva e malgrado la loro incompletezza, dunque, queste pa­gine risultano alquanto originali e singolari: esse ci fanno penetrare nell’animo di una straordinaria figura di dirigente politico e di intellettuale eclettico e pro­teiforme. La commistione tra pubblico e privato, nonché tra affetti coniugali e fede politica, risulta evidentissima in questo diario, così che esso ci appare molto diverso rispetto alla pur notevole serie di scritti analoghi, opera di altri uomini politici, comunisti o no che fossero.

Come detto, nel 1950 e nel 1951 Sereni non scrisse nulla su di sé. Meglio: si limitò a tracciare alcuni brevi racconti, che peraltro contenevano visibilmente riferimenti alla sua passata e dura esperienza resistenziale. La necessità di curare la moglie Xenia e se stesso lo condizionarono tanto.

E basta qui tracciare una rapida sintesi della sua vita in quel biennio per rendersene conto.

Per tutto il 1950, Sereni fu in perenne movimento, specialmente a causa del suo impegno direttivo nel Comitato mondiale per la pace. Fu così a Parigi dal 16 al 19 febbraio, girò per varie città d’Italia, riferì regolarmente a Togliatti sulle iniziative in corso, intervenne in Parlamento e il 11 marzo ripartì per Stoccolma. Da qui volò a Helsinki per incontrarvi il presidente del Consiglio Kekkonen e per tenere vari discorsi, prima di fare ritorno a Roma il giorno 11. Dal 18 maggio al 1 giugno fu di nuovo a Parigi e poi a Londra. Ma intanto si andava prendendo coscienza della gravità del male – un tumore – che aveva colpito Xenia. Il 7 luglio la donna fu operata ed Emilio si prestò per una trasfusione di sangue, che tuttavia gli procurò una sincope. Xenia, dimessa dall’ospedale, si giovò di una lunga permanenza in montagna, a Pera di Fassa, dove di tanto in tanto il marito si recava a trovarla nelle more dei suoi viaggi (in quel periodo si recò varie volte a Praga). Intanto, e si era ormai in agosto, Sereni chiese per iscritto al PCI di sostenerlo nella richiesta di portare la moglie in URSS per le cure. La partenza della coppia, accompagnata dalla piccola Clara, avvenne il 14 ottobre e Mosca fu raggiunta via Zurigo e Praga. Lasciata la moglie in Unione Sovietica, Emilio portò con sé la bambina e iniziò un nuovo turbinoso viaggio, che lo portò a Varsavia, Praga, Parigi, di nuovo Praga e Varsavia, dove si svolse il Congresso mondiale della pace, dopo che il governo inglese aveva rifiutato i visti d’ingresso per il programmato Congresso di Sheffield. Ammalatasi pure la piccola figlia, Sereni fece ritorno a casa soltanto il 29 novembre. Le disavventure di quell’anno non erano terminate: il 14 dicembre un ascesso produsse una setticemia e costrinse Sereni a rimanere a letto fino ai primi giorni del 1951, proprio mentre il 28 dicembre Xenia ritornava a Roma, senza che le cure rice­vute avessero prodotto sostanziali miglioramenti.

Il 1951 fu pure peggiore. L’agenda di Sereni cii quell’anno è colma di pagine bianche, con la sola indicazione del luogo dove si trovava per cure o in convale­scenza. Il suo carattere volitivo lo spingeva a muoversi ugualmente, per riunioni al partito o per altri viaggi. A parte la salute di Xenia, il problema che lo preoc­cupava di più era adesso quello costituito dai persistenti problemi cardiaci, che influirono notevolmente su tutta la sua attività politica.

Sereni dovette così delegare Ambrogio Donini a seguire al suo posto il movimento per la pace, perché dal 17 febbraio al 30 giugno fu praticamente esiliato nella casa di Fregene per riposarsi, fatti salvi – come detto – alcuni suoi tentativi di “evasione”. Così il 6 aprile tenne il suo intervento al congresso del PCM e il 3 maggio si recò a Copenhagen per la riunione del bureau del Consiglio mondiale della pace. Amaramente, però, dovette abbandonare la direzione del lavoro culturale che il partito gli aveva affidato nel 1948.

Se è vero che alla base della sua sostituzione con Carlo Salinari stava certa­mente la volontà di Togliatti di imprimere una svolta alle attività della Commis­sione culturale, mettendo da parte l’indubbia rigidezza ideologica di Sereni, è anche vero che in quelle precarie condizioni di salute egli ben poco avrebbe potuto continuare a lare. Sulla sua agenda compare cosi una nota lapidaria, in data 17 maggio: «Lasciato Commiss. Culturale».

A metà giugno si dovettero effettuare nuovi esami radiologici e clinici per Xenia e si cominciò a pensare al suo ricovero in una clinica specializzata svizze­ra: il 21 giugno Emilio l’accompagnò alla clinica Cecil di Losanna, per affronta­re specifiche cure a base di iodio, e riprese poi il suo frenetico pendolarismo: il 17 luglio riportò Xenia a Roma, subito dopo riparti per Helsinki per una nuova riunione del bureau della pace, in agosto portò la famiglia a Rimasco, in Valsesia, per quella che sarebbe stata l’ultima vacanza con la moglie, la quale – dal 27 agosto al 13 settembre – fu di nuovo ricoverata a Losanna.

Sembra persino miracoloso che, in tali condizioni, l’8 ottobre Sereni potes­se annotare sull’agenda, in bella evidenza, di aver concluso la stesura del volume su Comunità rurali nell’Italia antica. […]