C’ERA UNA VOLTA IN SICILIA
Mostre e Spettacoli
C’ERA UNA VOLTA IN SICILIA

6 Dicembre 2013 - 9 Gennaio 2014
PALERMO, PALAZZO REALE
a cura del Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale

La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Istituto Gramsci, vede tra i principali promotori il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, la Regione Siciliana e la Fondazione Federico II. La mostra è un percorso tra il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e l’opera di Luchino Visconti, che ne racconta le vicende e ne misura l’attualità. L’esposizione è concepita come un viaggio virtuale tra i luoghi più significativi del film: si parte dal Palazzo Boscogrande con la presentazione dei personaggi, con una sosta al Castello di “Donnafugata”, fino a rivivere il famoso valzer finale. Le stanze che ospitano la mostra sono arredate con fotografie di scena, costumi e disegni della scenografia, il tutto accompagnato dalle celebri musiche del film. Dei monitor proietteranno immagini e interviste ai protagonisti, oltre a tre documentari che raccontano la storia del romanzo e del film. Inoltre, dal 6 all’8 dicembre, la Sala Vittorio De Seta (Cantieri Culturali della Zisa) ospiterà una rassegna cinematografica intorno al tema de «Il Gattopardo». Guarda il manifesto.
La mostra è stata prorogata al 2 marzo 2014 

IL PROGRAMMA
Palazzo Reale, Sala Duca di Montalto, Palermo
6 dicembre ore 18.00
Inaugurazione della mostra alla presenza di: Giovanni Ardizzone (Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana), Michela Stancheris (Assessore del Turismo dello Sport e dello Spettacolo della Regione Siciliana), Stefano Rulli (Presidente della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia), Alberto Versace (Presidente del Comitato di Coordinamento APQ Sensi Contemporanei), Francesco Giambrone (Assessore alla cultura del Comune di Palermo), Alessandro Rais (Dirigente Generale del Dipartimento Regionale del Turismo dello Sport e dello Spettacolo), Pietro Di Miceli (Dirigente “Sicilia Film Commission”).

Giornata Internazionale di Studi
Palazzo Reale, Sala Gialla, Palermo
7 dicembre ore 11.00-17.00
Apertura dei lavori e saluti istituzionali: Michela Stancheris e Alessandro Rais. Interverranno Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Gioacchino Lanza Tomasi, Jean Paul Manganaro, Salvatore Silvano Nigro, Geoffrey Nowell-Smith.

Rassegna Cinematografica
6, 7 e 8 dicembre 2013
Cinema De Seta, Cantieri Culturali della Zisa, Palermo
venerdì 6 dicembre 2013 ore 21
«1963. Quando a Palermo c’erano le lucciole» (2013) di Nunzio Gringeri, Domenico Rizzo, Sergio Rullino, Giovanni Totaro, Davide Vigore, Francesco Di Mauro, 29′. Un ritratto di Palermo negli anni ’60, una città che comincia a perdere il proprio volto millenario per trasformarsi in un agglomerato affascinante e imperfetto, dove la cultura e la ricchezza coabitano con l’analfabetismo e la povertà del sottoproletariato. Copia proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo.
«È tornato il Gattopardo» (2013) di Martina Amato, Riccardo Cannella, Cecilia Grasso, Leandro Picarella, Giovanni Rosa, 26′. La storia del set de «Il Gattopardo» nelle sue vicende di lavorazione meno note, che gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia sono andati a cercare nel piccolo paese di Ciminna. Copia proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo.
«Lighea» (1983) di Carlo Tuzii, 60′. Fedele adattamento di un racconto di Tomasi di Lampedusa sull’incontro tra un uomo e una sirena, per la serie televisiva «Dieci registi italiani, dieci racconti italiani», cui parteciparono tra gli altri Gianni Amelio, Luigi Comencini, Carlo Lizzani. Copia proveniente da Rai Teche.
«Morte del Gattopardo» (1964) di Luigi Perelli, 15′. Documentario sui luoghi che hanno ispirato Tomasi di Lampedusa, le ville e i giardini ormai in rovina degli ultimi rampolli dell’aristocrazia siciliana. Copia proveniente dalla Cineteca Nazionale.
sabato 7 dicembre ore 18
«lI manoscritto del Principe» (2000) di Roberto Andò, 106’. lI rapporto che legò Tomasi di Lampedusa ai due giovani allievi, Gioacchino Lanza Tomasi e Francesco Orlando, durante la stesura del suo romanzo, diventa nelle mani del regista una riflessione sulla letteratura e la verità. Sarà presente l’autore. Copia proveniente dalla Cineteca Nazionale.
ore 20.30 «Il Gattoparve» (1996) di Daniele Ciprì e Franco Maresco, 18’. Viaggio in una Palermo lumpen e nei fantasmi dell’aristocrazia, attraverso il personaggio di Nicola Scafidi, fotografo di cronaca che fu anche sul set de «Il Gattopardo».
«Frammenti gattopardeschi» di Daniele Ciprì e Franco Maresco. Proiezione di brani editi e inediti intorno a Tomasi di Lampedusa e a Visconti, commentati da Maresco.
«I figli del leopardo» (1965) di Sergio Corbucci, 98’. La coppia d’oro della farsa, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, in una parodia de «Il Gattopardo» viscontiano. Due vagabondi, figli di un nobile squattrinato, affrontano briganti, soldati borbonici e garibaldini, e dopo alterne vicende ottengono il riconoscimento del padre. Copia proveniente dalla Fondazione Cineteca di Bologna.
domenica 8 dicembre ore 17
«Chi legge? Prima puntata» (1960) di Mario Soldati, 25′. La celebre inchiesta televisiva di Soldati, ideata insieme a Cesare Zavattini, prende le mosse da Palermo. Lo scrittore si aggira nel centro della città, seguendo luoghi del Risorgimento e dell’Opera dei Pupi, e visitando anche i luoghi di Tomasi di Lampedusa, il cui libro è il caso letterario del momento. Copia proveniente da Rai Teche.
«La Sicilia del Gattopardo» (1960) di Ugo Gregoretti, 45′. “Documentario creativo” di un giovane Gregoretti, sulle orme del romanzo allora all’apice del suo trionfo. Sarà presente l’autore. Copia proveniente da Rai Teche.
ore 19.00 «L’ultimo gattopardo» (2011) di Giuseppe Tornatore, 75’. Ritratto di Goffredo Lombardo e della sua casa di produzione, la Titanus, che ebbe ne «Il Gattopardo» di Visconti il proprio progetto più ambizioso. Saranno presenti l’autore e Guido Lombardo. Copia gentilmente concessa dalla Titanus.
ore 21.00 «The Leopard» («Il Gattopardo», 1963) di Luchino Visconti, versione americana, 161 La versione americana del film, manipolata dalla 2Oth Century Fox con un taglio di circa 25 minuti rispetto all’edizione di Cannes, fu rinnegata da Visconti. Oggi rimane come un documento sull’idea che del film si era fatta Hollywood. Il direttore del doppiaggio americano era un giovane Sydney Pollack. Copia gentilmente concessa dalla Titanus.
«Il Gattopardo» (1963) di Luchino Visconti verrà proiettato nei cinema cittadini durante lo svolgimento della mostra. Nello stesso periodo al Cinema De Seta avranno luogo repliche dei film della rassegna.

IL GATTOPARDO
«Per me «Il Gattopardo» ha rappresentato quindici mesi di lavoro intenso. Io non ho mangiato, non ho dormito, non ho fatto nient’altro in questi quindici mesi che lavorare al Gattopardo. Tutto questo per uno scrupolo di coscienza che credo di avere, e perché sempre desidero dare al mio pubblico il meglio delle mie possibilità».
Questo ebbe a dichiarare Visconti al microfono di Lello Bersani che lo intervistava la sera della “prima” de «Il Gattopardo» al cinema Barberini di Roma. Era il 28 marzo 1963, e se dobbiamo credere all’affermazione di Visconti l’avventura del Gattopardo era cominciata intorno al Natale 1961.
In realtà il progetto covava da prima. Il produttore Goffredo Lombardo aveva opzionato i diritti del romanzo da quando era comparso sul mercato riscuotendo un successo immediato e incontrastato (era il novembre 1958) e ne aveva commissionato la realizzazione a Ettore Giannini. Non è il caso di ripercorrere qui le vicende di questo primo progetto; basti ricordare che in un secondo momento era stato interpellato Visconti, che ne aveva preparato una sceneggiatura con i suoi consueti collaboratori Suso Cecchi d’Amico ed Enrico Medioli, affiancati dalla coppia Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa proposti dalla Titanus (un team che già aveva dato prova di sé nella sceneggiatura di Rocco e i suoi fratelli). Alla sceneggiatura seguì il piano di produzione e quindi la formulazione di un preventivo, che provocò le prime battute d’arresto.
Il preventivo era enorme. Lombardo, che pensava di realizzare il film con l’apporto della Francia (era la stessa formula produttiva che aveva già sostenuto Rocco), si rese conto che non sarebbe stato sufficiente. Per di più il film era non solo costoso, ma anche commercialmente difficile, certo assai più di Rocco […]: là si era avuta una storia drammatica molto forte, avvincente, giocata su temi d’attualità; qui si aveva una vicenda apparentemente epica, in realtà assai rarefatta e sofisticata.
Fu così che si cominciò a pensare ad un grande divo americano, un nome che avrebbe consentito di stipulare un accordo di distribuzione con una major. E si approdò a Lancaster, scelta di cui oggi Lombardo rivendica orgogliosamente (a ragione) la paternità. […]
Quanto a Visconti (che aveva ormai rinunciato a Laurence Olivier, la sua prima scelta per il ruolo) acconsentì perché dovette ammettere che se non altro, Lancaster aveva le physique du ròle. […] Firmato il contratto con Lancaster, Lombardo ottenne alcuni milioni dalla 2Oth Century Fox, e dette il via al film.
La preparazione vera e propria cominciò quindi con il 1962. Vero è che già nell’autunno 1961 Visconti aveva effettuato alcuni sopralluoghi in Sicilia, scortato dallo scenografo Mario Garbuglia e dall’organizzatore generale Pietro Notarianni, sotto la competentissima guida di Gioacchino Lanza Tomasi; e che di certo Piero Tosi aveva da tempo cominciato a pensare al film. Era prassi per Visconti coinvolgere l’intera squadra dei suoi più stretti collaboratori fin dall’inizio del progetto, che quindi prendeva forma in tutti i sensi con il lievito di contributi molteplici. Ma una cosa è “pensare” a un progetto, altra cosa è entrare nella fase operativa. E poiché si sa che le riprese cominciarono lunedì 14 maggio 1962, possiamo affermare che si trattò di una preparazione di sole 10 settimane: un tempo da primato.
Dal punto di vista della realizzazione scenografica, il primo problema da risolvere era la “smodernizzazione” di Palermo. Il piano di lavorazione prevedeva che la prima sequenza da girare sarebbe stata quella della presa della città da parte dei garibaldini. D’accordo con il produttore Lombardo, Suso d’Amico aveva previsto una sequenza asciutta, quasi allusiva: un vicolo bloccato da una barricata, un picciotto spavaldo, qualche popolana e un gran polverone dietro il quale intuire l’assalto dei garibaldini e la disfatta delle truppe borboniche. Ma quando si passò alla realizzazione, Visconti commissionà a Mario Garbuglia quattro “situazioni scenografiche” per lo svolgimento dell’azione, il che comportò l’apertura di altrettanti cantieri per le costruzioni. La pavimentazione di asfalto delle strade e delle piazze fu ricoperta di terra battuta; le saracinesche furono sostituite da persiane e tende; pali e fili della luce e del telefono furono eliminati, per non parlare di decine e decine di antenne televisive.
Si finì col girare solo in tre dei quattro set preparati, e cioè in piazza San Giovanni Decollato […]; in piazza della Vittoria allo Spasimo […]; in piazza Sant’Euno […].
Scelsero come Villa Salma una villa alle porte di Palermo, chiamata Boscogrande […]. Mario Garbuglia racconta che la villa fu prescelta per il giardino e il viale d’ingresso che consentivano la lunga panoramica-carrello iniziale del film, sotto i titoli di testa. Ma la villa dovette essere completamente restaurata perché — come ricorda Garbuglia — era praticamente un covatoio di pulcini, tutta intonacata di bianco. Così in ventiquattro giorni si rifecero pareti e pavimenti, infissi e soffitti, stucchi esterni e interni; la facciata venne ripristinata e una ventina di pittori dipinsero le decorazioni con i pappagalletti e l’affresco sul soffitto del salone centrale, minuziosamente descritto nel libro, che compare nel film in un brevissimo flashback. […]
Era la fine di giugno quando la troupe si trasferì a Ciminna, il paese dove fu ambientata la vicenda che nel romanzo si svolge a Donnafugata. Donnafugata è un nome immaginario, dietro il quale si cela il paese di Palma di Montechiaro; e appunto a Palma di Montechiaro Visconti aveva deciso di girare per amor di filologia. Ma, come ci racconta l’organizzatore generale del film Pietro Notarianni, girare a Palma sarebbe stato un incubo. Infatti non solo non c’erano alberghi (e questo era abbastanza prevedibile) ma il paese era in stato miserevole: niente fogne, niente acqua potabile, niente trasporti; perfino Palazzo Curtò (il vero Palazzo Salma) era fatiscente. Purtroppo questi argomenti erano assolutamente irrilevanti per Visconti, per cui Notarianni si trovò costretto a escogitare un sistema per imporre la scelta di un altro paese: si fece mandare un telegramma minaccioso, simulando un ricatto mafioso. Visconti abboccò: fu fatta una conferenza-stampa antimafia (che nessun mafioso vero si prese la briga di smentire) e si decise che Donnafugata sarebbe stata girata a Ciminna.
Garbuglia ricorda che Ciminna fu scelta perché la piazza con la chiesa in fondo corrispondeva quasi in tutto a quella dell’immaginaria Donnafugata. «Mancava solo il Palazzo del Principe — dice Garbuglia — e il Palazzo lo abbiamo fatto noi». In quarantacinque giorni davanti agli edifici che sorgono di fianco alla chiesa fu innalzata la facciata di Palazzo Salma disegnata da Garbuglia (le scene d’interno del Palazzo furono girate più tardi ad Ariccia a Palazzo Chigi). Contemporaneamente fu rifatta la pavimentazione di tutta la piazza e della strada che costeggia il Palazzo, eliminando l’asfalto: e poiché non si trovavano più i ciottoli che costituivano la pavimentazione primitiva, bisognò andarli a prelevare nel letto di un fiume vicino e portarli su in paese con i muli, visto che gli autotreni si impantanavano nelle strade di campagna. Inoltre la piazza doveva essere attraversata da una doppia fascia di lastre di pietra su cui un tempo transitavano i carri, lastre che furono recuperate asportandole dai marciapiedi del paese.
La colossale sequenza del ballo […] nel film copre una durata di quarantaquattro minuti e mezzo. Come è noto, il ballo fu girato a Palazzo Gangi di Palermo, un ambiente meglio conservato che peraltro ebbe bisogno non solo di un intervento strutturale ma soprattutto di un importante lavoro di arredamento. […]
Il ballo iniziava con l’arrivo delle carrozze (una scena girata e poi tagliata dal montaggio definitivo del film e che ancora oggi è fonte di rimpianto per Pietro Notarianni) e segna l’apoteosi del lavoro del costumista Piero Tosi e dei suoi collaboratori.
Tosi aveva cominciato a preparare la documentazione occorrente per il film fin dall’inverno del 1961: presso famiglie di nobili palermitani aveva setacciato cassetti e album fotografici alla ricerca di immagini che lo potessero illuminare sulla realtà della vita siciliana degli anni compresi tra il 1860 e il 1862. Quindi aveva studiato a fondo il Museo del Risorgimento di Palermo, che gli fu prezioso per la documentazione militare, Infine era approdato da un collezionista privato di Parigi che gli aveva messo a disposizione alcuni abiti autentici dell’epoca […].
Il ballo fu girato di notte; un po’ per rispettare le condizioni ambientali naturali, un po’ per evitare il caldo torrido che avvolgeva la città di Palermo in quell’estate. […] Verso le cinque del pomeriggio la troupe e alcuni attori consumavano il cestino; alle otto di sera iniziavano le riprese, che si protraevano di norma fino alle quattro del mattino, a volte anche fino alle sei. L’abito della protagonista, ancora oggi mitico, sognato da centinaia di spose che si ostinano a cercarlo per copiarlo per il giorno delle nozze, fu disegnato da Piero Tosi come un abito color medusa. Nel romanzo l’abito di Angelica è rosa, ma secondo Tosi questa visione era un po’ convenzionale, quasi hollywoodiana; quindi optò per un abito realizzato con una stoffa di Dior di parecchi anni prima, un’organza bianco opaline. Per l’abito della Principessa Salma (Rina Morelli) si era invece ispirato all’opulenza della pasticceria siciliana, con toni funerei. Costi? Le note di consegna ritrovate negli archivi non ce li dicono, ma Tosi ricorda che ogni abito del ballo non poteva costare meno di quattro-cinquecento mila lire.
Il principale problema delle riprese era però nell’illuminazione, perché Visconti e Rotunno cercarono di ricreare la luce delle candele. Barry Lyndon era di là da venire, come le pellicole ultrasensibili che ne permisero la realizzazione. Quindi si cercò di simulare con poca illuminazione artificiale e migliaia di candele quella che doveva essere stata un’illuminazione interamente naturale. Tutta la troupe si era divisa in squadre di scaccini addestrati; al cenno di Rotunno partivano, ciascun gruppo intorno a un lampadario, e accendevano le migliaia di candele di scena. Appena terminato il ciak si precipitavano a spegnere, per cercare di consumarne il meno possibile (la sostituzione delle candele portava via moltissimo tempo). Il caldo era tale che le candele non solo sgocciolavano sugli attori, sugli abiti, sul buffet, ma si piegavano e cadevano. Al divertimento con cui Rotunno ricorda oggi quei giorni si contrappone la memoria di Tosi, che definisce il ballo del Gattopardo come il lavoro più faticoso e più stressante di tutta la sua carriera. «Ogni pomeriggio si trattava di dare fisionomia, carattere e verità a trecento persone. La notte durante le riprese bisognava cercare di mantenere in ordine abiti e acconciature, che si squagliavano nel caldo di quelle notti africane. L’atmosfera dei saloni era palpitante di fumo che sprigionavano le candele; il profumo delle fresie che adornavano i tavoli e le consolle era lacerante. Caldo, sudore, disfacimento, ma soprattutto i busti che stringevano i corpi delle signore causavano spesso malori» […].
Quanto a Lombardo, quel 28 marzo 1963 alla “prima” romana dichiarò: «Il film è più di Via col vento, è una cosa enorme. È favoloso. È difficilissimo per un film che tutti gli elementi siano contemporaneamente efficienti allo stesso modo. Io credo che “Il Gattopardo” segnerà un’epoca nel cinema italiano. Per me, come produttore, penso che nella mia vita di produttore mi basterà di avere fatto “Il Gattopardo”».

Estratto da Lino Miccichè (a cura di), Il Gattopardo, Electa Napoli,
Centro Sperimentale di Cinematografia, Napoli-Roma, 1996