Volumi
Dialoghi con Luigi Squarzina

Elio Testoni
Le Lettere, Firenze 2015
pp. 298, € 24,00 | 9788860879097
PUBBLICAZIONE REALIZZATA CON IL CONTRIBUTO DELLA FONDAZIONE

 
Il volume raccoglie interviste inedite rilasciate dal regista e drammaturgo Luigi Squarzina (1922-2010) negli ultimi anni della sua vita. Lettere, anch’esse inedite, integrano le tematiche e le vicende discusse nel corso delle conversazioni. Si ricostruisce così, a grandi linee, il suo percorso culturale ed artistico: le poesie e i racconti giovanili, la formazione professionale, la fondazione del Teatro d’Arte Italiano, la drammaturgia, le regie dei classici profondamente innovative, gli esordi freelance, la direzione del Teatro Stabile di Genova e il rapporto con il Piccolo di Milano, la direzione del Teatro Argentina di Roma e – infine – il ritorno alla libera professione. I racconti di Squarzina rappresentano anche un’autorevole testimonianza sul modello teatrale e sulla storia della cultura del nostro paese.

Indice

Prefazione di Giuseppe Vacca, VII

Introduzione, 1

Note, 50

I. La famiglia e gli studi, 59

II. Le opere giovanili e la formazione teatrale, 75

III. Il primo Teatro di Visconti e la «generazione dei registi», 90

IV. L’Ateneo, il Nazionale, il Teatro d’Arre Italiano, la drammaturgia squarziniana degli anni cinquanta, 103

V. Le regie di prosa degli anni cinquanta, la critica, il pubblico e la politica, 117

VI. Alcune regie liriche e radiofoniche tra gli anni cinquanta e sessanta, 140

VII. La direzione dello Stabile di Genova, 146

VIII. Gli spettacoli storico-dialettici, 180

IX. Sulla direzione del Teatro Argentina di Roma, 189

XI. Squarzina attore nel film: Il caso Mattei, 197

X. Gli spettacoli pirandelliani, 213

IL CARTEGGIO

Luigi Squarzina a Vittorio Gassman, 12 marzo 1943, 221

Luigi Squarzina a Vittorio Gassman, 15 marzo 1943, 224

Luigi Squarzina a Giuseppe Bartolucci, giugno luglio 1966, 227

Luciano Salce a Luigi Squarzina, 21 dicembre 1945, 235

Luciano Salce a Luigi Squarzina, 7 giugno 1946, 238

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 31 maggio 1945, 244

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 6 dicembre 1945, 247

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 27 gennaio 1946, 252

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 25 febbraio 1946, 254

Luigi Sguarzina a Vittorio Gassman, 29 settembre 1950, 258

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 3 ottobre 1950, 261

Vittorio Gassman a Luigi Squarzina, 21 settembre 1952, 263

Anna Squarzina a a Ivo Chiesa, 12 marzo 1966, 271

Anna Squarzina a Ivo Chiesa, 19 marzo 1966, 272

Anna Squarzina a Ivo Chiesa, 20 marzo 1966, 273

Ivo Chiesa ad Anna Squarzina, 21 marzo 1966, 274

Luigi Squarzina a Giancarlo Pajetta, 27 marzo 1969, 275

Giancarlo Pajetta a Luigi Squarzina, 31 marzo 1969, 276

Sandra Orengo a Luigi Squarzina, 20 novembre 1971, 277

Sandro Orengo a Luigi Squarzina, 26 novembre 1972, 278

Sandro Orengo a Luigi Squarzina, 12 gennaio 1974, 279

Sandro Orengo a Luigi Squarzina, 12 febbraio 1974, 280

Indice dei nomi, 281

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Prefazione
di Giuseppe Vacca

Nell’ottobre del 2012 la Fondazione Cini dedicò un importante convegno a Luigi Squarzina nel secondo anniversario della morte. In quella occasione Elio Testoni proiettò due interviste televisive trascritte successivamente in questo libro. La proiezione si alternava ai ricordi e alle testimonianze di attori e registi famosi che avevano lavorato con il maestro (Omero Antonutti, Paola Gassman, Gabriele Lavia, Giuliano Scabia, Carlo Quartucci) e mi parve che l’emozione
suscitata dalle immagini delle interviste dovesse molto alla perizia , al calore agli affetti creati da quei testimoni.
Leggendo ora il libro che Testoni ha ricavato da quelle e altre interviste penso di discernere meglio il fascino dell’opera che lui e Squarzina avevano realizzato: le trascrizioni dei loro dialoghi ci restituiscono infatti l’individualità e il carattere di entrambi come se li ascoltassimo dal vivo e, com’è noto, realizzare una così straordinaria corrispondenza fra linguaggi tanto diversi come l’audiovisuale e la scrittura è frutto di particolare maestria e sapiente programmazione.
Squarzina ha visto in Testoni non un cultore zelante e devoto della sua drammaturgia a cui dettare un’autobiografia, ma uno studioso di storia del teatro arguto e ferrato, dal quale lasciarsi scrutare e, con un linguaggio di straordinaria levità e misura, gli ha permesso di introdurci ai momenti più delicati della sua esistenza, alle prove più ardue della sua ricerca, agli interrogativi più assillanti della sua poetica . Ne è scaturito un testo che non è propriamente autobiografico, ma piuttosto un “contributo alla critica di se stesso” tanto più autentico perché dialogico, scandito da risposte non premeditate, nutrito di memorie non preordinate, suscitate dalla ricostruzione dei momenti e dei contesti delle sue opere propostagli da un interlocutore puntuale, informatissimo e pungente. Se l’ironia e la discorsività sono un tratto distintivo della figura intellettuale di Squarzina, credo che avesse trovato in Testoni un interlocutore ideale per aprirci il suo animo e raccontarsi facendosi raccontare.
L’interesse di Testoni per il teatro di Squarzina coincide con il suo appassionamento al teatro. Testoni venne a vivere a Roma nel 1968 e qui poté coltivare quella passione come non avrebbe potuto nella Puglia in cui era nato e vissuto fino ad allora. Aveva poco più di venti anni e studiava giurisprudenza. Il teatro è il linguaggio che meglio corrisponde alla sua formazione culturale e civile. Se ne coglie l’eco nell’Introduzione a questi dialoghi, nell’enfasi sulla “regia critica”, sul teatro “storico-dialettico” e sulle invenzioni sceniche e linguistiche
con cui Squarzina rende “contemporanei” i suoi autori restituendoci nel contempo lo spirito originario e i contesti delle loro opere. Ma il teatro, la sua funzione civile e la sua storia saranno una componente “amatoriale” del percorso intellettuale di Testoni, anche come autore. Borsista di storia contemporanea dopo la laurea, vince il concorso al Senato nel 1973 e per quarant’anni sarà un eccellente funzionario della Seconda Camera, dove prodiga la sua sapienza giuridica alla legislazione e matura un interesse crescente per i media e la loro regolazione. Sono gli anni della riforma della Rai, della “liberalizzazione” dell’etere e della trasformazione “commerciale” dell’intero sistema culturale e informativo: uno stravolgimento che colpirà il teatro, il cinema, la televisione e l’editoria minando l’eccellenza internazionale che la cultura italiana aveva raggiunto in quei campi nel primo trentennio post-bellico. Testoni se ne occupa attivamente partecipando alla “battaglia delle idee” volta a dare nuove regole e un ‘organizzazione coerente e competitiva all’industria culturale del Paese. Una battaglia persa perché non c’era consapevolezza né voglia di ascoltare nelle classi dirigenti italiane che condannarono in quegli anni l’Italia alla perifericità e al declino culturale di cui soffre forse irreparabilmente. E in quegli anni nacque la mia amicizia con Testoni: amicizia e collaborazione fin da quando, nel 1980, – ero consigliere d’amministrazione della Rai – venne a cercarmi e ci ritrovammo sodali in una “battaglia” (e in una sconfitta) comune. Nella progressione della sua cultura teatrale, Squarzina era divenuto una figura eminente ma l’occasione per dedicarsi al suo studio venne più tardi e scaturì dalla nostra collaborazione. Dal gennaio del 1988 dirigevo la Fondazione Istituto Gramsci e nel 1994 si perfezionò la donazione dell’Archivio di Luchino Visconti all’Istituto grazie alla perseveranza di Caterina D’Amico che ne ha tuttora la cura scientifica. La presenza di quell’archivio attrasse e rese operosa la collaborazione di Testoni con “il Gramsci” e quando, agli inizi del Duemila, cominciammo a progettare una grande mostra monografica su Visconti, la collaborazione di Elio con Caterina s’intensificò e fu lei a introdurlo a Squarzina. Era il 2003 e Elio aveva il compito di interrogare Squarzina sul teatro di Visconti e sui loro rapporti. Nacquero così le prime due “interviste” trascritte nel terzo capitolo di questi dialoghi. Ma nacque anche una profonda amicizia fra Squarzina e Testoni. Come testimonia questo libro, Elio conquistò grado a grado la fiducia, la stima e la simpatia del maestro. Giocoso e scanzonato, ilare e arguto, ma scrupoloso nella ricerca e autenticamente affascinato dal suo autore, Testoni guadagnò l’amicizia di Squarzina che nell’accuratezza delle sue domande, nella malizia affettuosa con cui giuocava con l’intransigenza e l’orgoglio del maestro facendone emergere, al contrario, la sorvegliata consapevolezza critica e la mitezza, riconobbe generosamente a Elio il ruolo del maieuta.
Questi dialoghi hanno un sapore antico e una straordinaria freschezza perché ebbero una preparazione assidua. Studiare da vicino per sette anni un autore d’elezione era un’occasione unica e Testoni non la sciupò. Fra il 2003 e il 2010 si frequentavano regolarmente e da quella frequentazione nacquero altre trentaquattro interviste interrotte dalla malattia e dalla scomparsa di Squarzina (nel 2010), la decisione di riordinare le sue carte e di donarle all’Istituto Gramsci, l’impegno dell’Istituto a comporle in un archivio, catalogarle, digitalizzarle e valorizzarle come si è cominciato a fare dal 2012 con il contributo del Mibact e della Fondazione Cariplo e con la vigile collaborazione di Silvia Danesi e dello stesso Testoni, scelto concordemente da Squarzina, da sua moglie e dall’Istituto Gramsci come curatore scientifico e garante del lascito. C’è una doppia coerenza in questa destinazione. Da un lato l’intuizione di Testoni condivisa da Squarzina, che non si considerava solo un uomo di spettacolo ma innanzitutto un uomo di cultura, un “grande intellettuale” che aveva scelto il teatro come linguaggio fondamentale del suo impegno tanto come regista quanto come autore, senza trascurare la radio, il cinema, la televisione, l’insegnamento universitario, la ricerca storica e la saggistica, fondati su uno scavo approfondito della cultura europea moderna e contemporanea. Dall’altro il precedente di Visconti che aveva deciso di destinare le sue carte non alle memorie dello spettacolo, ma alla Fondazione che raccoglie innanzitutto i documenti della cultura politica di cui egli era stato un protagonista perché fossero parte d’una storia culturale e civile più ampia, in qualche modo “complessiva”.
Queste motivazioni hanno una radice profonda nello stile di pensiero, nella visione dell’esistenza” e nella “storia”, nella funzione della “ragione” documentati amabilmente da questi dialoghi, da cui conviene trarre qualche dimostrazione. Testoni ha ragione a sottolineare nell’Introduzione che la vita e l’opera di Squarzina costituirono per sessant’anni un crocevia dei modelli teatrali, e della storia della cultura del nostro Paese. Per la mia generazione e in parte per la sua il Sessantotto ha avuto un valore simile a quello che ebbe la Resistenza per la generazione precedente: il valore di un passaggio epocale scandito da eventi “costituenti” della nuova struttura del mondo, quali sono stati la seconda Guerra mondiale e l’esplosione, circa trenta anni dopo, degli equilibri e degli assetti scaturiti da quella. Come per le generazioni della Resistenza, anche per quelle del Sessantotto i grandi eventi della storia mondiale generarono uno spettro di rifrazioni ampio ed eterogeneo che andavano dall’ideologismo esasperato al moralismo unilaterale, volontaristico ed emotivo, ai tentativi più o meno riusciti di comprendere storicamente il mutamento. Per entrambe le generazioni la ricerca e l’incontro di “buoni maestri” sono stati decisivi e credo che questo sia stato Squarzina per Testoni, che trovò in lui uno sguardo sul mondo e una cifra della ragione particolarmente consoni e suggestivi anche perché mediati dialetticamente dal teatro. In estrema sintesi, una lezione su come si vive nella storia e si affrontano i cambiamenti. Questo cercava Testoni nel teatro e di qui la sua predilezione per il teatro “politico “. Ma politico non vuol dire propagandistico, bensì “critico” e “storico-dialettico “, confrontato costantemente con quello degli altri grandi maestri del tempo, da Visconti a Strehler, con i quali scorrono frequentissimi nelle interviste i confronti e i rinvii non per il gusto di comparare dei “monumenti “, ma per la necessità di mettere a frutto l’operosità poliedrica di Squarzina e la ricchezza del suo archivio al fine di comporre un profilo storico del teatro italiano fra gli anni Quaranta e la fine del secolo passato.

Tra questi maestri (a cui va aggiunto Eduardo) Squarzina è il più consentaneo alla ricerca di Testoni per l’apertura con cui coniuga il teatro e la storia. Fra il 1961 e il 1966 Squarzina scrisse e mise in scena Emmetì, una commedia in cui, riecheggiando il teatro dell’assurdo, aboliva la punteggiatura. Testoni gli domanda se fosse stato influenzato dalla neoavanguardia e Squarzina risponde che Emmetì «voleva essere una critica all’avanguardia con i mezzi stessi dell’avanguardia», situando il fallimento del tentativo di «liberazione sessuale della protagonista […] nel contesto storico della mercificazione di qualsiasi valore, dell’alienazione consumistica, della vacuità parolaia, della rinuncia alla responsabilità ». Esistenza e storia formano quindi i poli di una partita aperta alle forme più disparate della vita, anche a quelle che si presentano con lo stigma dell’irrazionale, dell’incongruenza e dell’assurdo, che tuttavia con la storia si spiegano, consentendoci di riannodare i fili della ragione.
Ma forse più ricco e più probante è il caso della messinscena nel 1968 de Le baccanti. Ormai saldamente alla guida del Teatro Stabile di Genova, Squarzina proponeva di anno in anno un ricco repertorio in cui secondo i canoni del teatro pubblico si mischiavano autori antichi, moderni e contemporanei.
Fatta eccezione per il Prometeo di Eschilo, Squarzina non si era mai cimentato con il dramma antico e Testoni gli chiede: “Perché Le baccanti? E perché nel 1968?” Voleva che fosse Squarzina stesso a chiarire il significato “politico” del suo teatro e il maestro non lo deluse:
Volevo innanzi tutto ritornare alle origini del teatro che è quello che fa Euripide in questa che è l’ultima sua tragedia, anche per capire le motivazioni profonde del ritorno dell’irrazionalismo a teatro, della nuova fortuna di Artaud, attraverso il teatro del Living Theatre e di Grotowski, in un quadro politico, sociale e culturale, quello della fine degli anni Sessanta, in cui la ribellione generalizzata contro tutto ciò che era istituzionale, con il limite di un disordinato inazionalismo ma con la forza di un valore liberatorio, provocava la perdita delle certezze.
Siamo in un momento topico di questi dialoghi, che va al nocciolo della drammaturgia di Squarzina, il quale ricorda d’aver scritto per l’occasione Il didatta e lo sciamano, un testo chiave della sua poetica. Conviene quindi lasciare a loro la parola:
Testoni: Dunque con Le baccanti tu fai un’operazione culturale straordinaria: utilizzando i mezzi espressivi del teatro contemporaneo tendi a rappresentare una tragedia di più di duemila anni fa come tragedia sociale e politica di oggi che ripercorre le nostre angosce e cerca risposte alle questioni attu ali.
Squarzina: […] Aveva ragione Nietzsche, la Grecia non era solo armonia e razionalità, era anche conflitto, mistero, violenza. Dopo le guerre del Peloponneso la società greca era entrata in una crisi profonda, […] aveva preso coscienza della vulnerabilità del genere umano e si era rifugiata nella magia e nell’ irrazionalismo. Ma anche la nostra società occidentale degli anni Sessanta era attraversata da incertezza e nevrosi […] tendeva ad abbandonarsi alla consolazione della magia e all’irrazionale.
Tuttavia le esplosioni del “dionisiaco” vanno giustificate storicamente, altrimenti si soccombe alla mimesi, ci si pensa eroi e ci si muove come ombre, si manipola tragicamente il simbolico e si diviene giocolieri della vita e della parola. E storicizzare vuol dire comprendere perché un’intera impalcatura delle forme , e del potere può separarsi dalla vita, ridursi a simulacro e a tragica violenza e perciò va rimossa e ricostituita. Quindi alla domanda se “attualizzando” Le baccanti avesse voluto fornire una chiave di lettura della esasperazione anti-istituzionale nella cultura di quegli anni Squarzina risponde:
Fatte naturalmente le debite differenze, non ti sembra che il comportamento di alcuni nostri politici dell’epoca, per alcuni aspetti, rassomigli a quello di Penteo che, assiso sulla sua sicumera razionalistica, non capisce la complessità delle forze che irrompono nella storia, eversive sì, ma anche vitalistiche, distruttrici sì, ma anche creative?
Testoni: E credi di aver avuto ragione?
Squarzina: E come se avevo ragione! Pensa a tutto quello che è accaduto alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta.
L’esplosione del “dionisiaco”, volta a rappresentare per suggestioni una situazione storica contemporanea, opera quindi non tanto come metafora dell’irrazinale quanto piuttosto della rottura di un equilibrio, della “crisi organica” di architetture politiche e sociali superate che, se criticate storicamente, consentono di riconoscere la “razionalità” anche nell’irrazionale e di ricostruire il cammino della ragione.
Credo dunque che il terreno su cui Testoni incontra Squarzina sia quello della storicità della ragione che mi pare l’origine anche della sua ironia, la bussola della sua passione per i classici del teatro e il motivo della sua dedizione a vivificare e trasmettere l’eredità del maestro.